Molto interessanti anche queste osservazioni.
Fonte:
http://www.essen.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=26Editoriale del numero 11 di ESSENZIALMENTE ENERGIA
Esattamente un anno fa, nell’editoriale n. 4, parlavo del riconoscimento di fatto delle discipline naturali esercitate da Naturopati da parte della Magistratura che, con varie sentenze di assoluzione, riconosceva loro il diritto di praticare la medicina naturale non scientifica senza incorrere nel reato di esercizio abusivo della professione (medica).
Nel contempo evidenziavo le incongruenze dei medici dissidenti che si definivano, in spregio al parere del comitato Nazionale per la Bioetica, esperti in omeopatia, agopuntura ecc. ecc.
Intendo ora riportarmi ad un caso specifico: con sentenza del 28 settembre 2005 la Corte di Appello di Bologna - in riforma di quella emessa dal Tribunale di Modena in data 3 luglio 2002 che aveva condannato il Naturopata M. M. per la violazione del disposto dell'art. 348 c.p. per avere abusivamente esercitato l’attività di medico attraverso visite, diagnosi e terapie senza aver conseguito alcuna abilitazione all'esercizio della precipua professione - aveva assolto il Naturopata M. M. dal detto reato perchè il fatto non sussiste; con la recente sentenza 20 giugno - 6 settembre 2007, n. 34200, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Bologna riconoscendo di fatto in via esclusiva ai soli medici, “unici scienziati”, il diritto ad esercitare discipline non scientifiche, tra l’altro considerate da sempre alla stregua di stregonerie!
Strana incongruenza?
Sul fatto che sia stata cassata una sentenza si potrebbe, ed il condizionale è d’obbligo, dire che tutto è di routine: nulla di particolare per gli addetti ai lavori.
E così può anche accadere che un naturopata possa oltrepassare quei confini che in tanti anni di studio e di lavoro si è costruito.
Tra l’altro, non essendo un giurista, sono consapevole di non essere in grado di entrare nel merito delle sentenze nè delle loro motivazioni.
Eppure qualcosa mi sfugge.
Perchè sembra che nella parte motiva della decisione i Giudici vogliano andare oltre la volontà di annullare la sentenza di assoluzione del Naturopata pronunciata dalla Corte di Appello di Bologna e lo fanno cercando di illustrare e confermare in ben 9 pagine “le ragioni” per le quali le terapie naturali, non convenzionali, non scientifiche quali la pranoterapia, la medicina ayur-vedica, la medicina antroposofica, l’omotossicologia, l’omeopatia, la medicina tradizionale cinese e quella tibetana, la cromoterapia, i fiori di Bach, il Rei-ki, l’iridologia, la kinesiologia ecc e le medicine “empiriche” come l’agopuntura reflessologica, la fitoterapia idroterapia, che appaiono in casi determinati benefiche per i pazienti, denominate tali non da semplici cittadini ma dal Comitato Nazionale per la Bioetica, debbano essere esercitate solo da laureati in medicina.
Forse questi Giudici hanno dimenticato che il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel suo documento “Le Medicine Alternative ed il problema del consenso informato” (approvato all'unanimità il 18 marzo 2005), suddivideva in due gruppi le terapie naturali la cui efficacia non è accertabile con i criteri adottati dalla Medicina Scientifica.
O forse lo ignorano!?
Non sanno che - proprio perchè l'efficacia di queste pratiche terapeutiche non è accertabile con i criteri adottati dalla Medicina Scientifica - un medico non le può utilizzare?
Potrebbero spiegarci com’è possibile che un medico ricorra, ad esempio, all'omeopatia che si basa su rimedi talmente diluiti da non conservare più tracce rilevabili, nè chimicamente nè fisicamente, della sostanza iniziale al punto da poter essere considerata alla stregua di un placebo?
Quale protocollo di validazione scientifica si potrebbe utilizzare se il placebo (rimedio omeopatico in questo caso) è indistinguibile dal rimedio?
Al punto 5 della sentenza si legge: “Va avvertito però che non vale ad escludere l’omeopatia dalle professioni mediche la circostanza per la quale questa attività non sia oggetto di disciplina universitaria o di successiva professione per la quale è necessaria l'acquisizione di un titolo di Stato, esplicandosi comunque la detta metodologia in un campo la cura delle malattie corrispondente appunto a quello della medicina, per così dire, ufficiale.
Lo stesso oggetto dell'omeopatia, di fatto, non sembra così diverso da quello della medicina tradizionale, poiché, pur se attuato con metodi e tecniche da questa non riconosciuti, è finalizzato alla diagnosi e alla cura delle malattie dell'uomo."
Andrebbe anche detto che l’omeopatia non è esclusa dalle pratiche mediche soltanto perchè non insegnata nelle università, ma perchè non è scientifica; forse potrebbe essere “studiata” nelle università, e probabilmente in talune lo è già, ma come materia di confronto e non come materia professionalizzante.
Solo che l’omeopatia (quella vera) non diagnostica nè tanto meno cura le malattie; non le ha mai curate, limitandosi ad individuare, attraverso “l’arte dell’interrogatorio”, i sintomi “rari e peculiari” ed il bravo naturopata omeopata non medico si limita a controllare la variazione di detti sintomi (che non sono sintomi patologici derivanti da malattie codificate dalla Scienza Medica) ed eventualmente la loro scomparsa.
Proseguendo, il punto 5 della sentenza recita:
Se a ciò si aggiunge l’intrinseca eccentricità dell'omeopatia rispetto al sapere medico tradizionale, pare evidente, a fortiori, che l'esercizio di tale attività deve essere subordinato al controllo, di natura pubblicistica, dell'esame di abilitazione e dell'iscrizione all'albo professionale e, prima ancora, al conseguimento del titolo accademico della laurea in medicina.
Fare dell’ironia su una simile affermazione, sarebbe sin troppo facile: paragonare la Scienza in generale e la Scienza medica in particolare all’eccentrica omeopatia e sostenere poi che per praticarla sia indispensabile una laurea in medicina, è come dire che il due nel gioco della briscola prende l’asso.
Ma le regole non dovrebbero essere rispettate da tutti?
Si può essere d’accordo, e sarebbe auspicabile, che il controllo sull’attività dei naturopati che utilizzano i rimedi naturali, omeopatici compresi, fosse di natura pubblicistica: in fondo è esattamente quello che da almeno 35 anni andiamo chiedendo; ma dire che per utilizzare i rimedi naturali si debba essere laureati in medicina, sembra piuttosto una contraddizione
E allora mi chiedo se i componenti il Collegio della Suprema Corte si siano davvero sufficientemente documentati e coscientemente preparati sulla più ampia tematica in merito alla quale sono stati chiamati a giudicare.
Nel particolare, mi riferisco al Codice di Deontologia Medica che, dal terzo capoverso in poi dell'articolo 12 – “Prescrizione e trattamento terapeutico”, recita: “Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche anche al fine dell’uso appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente. Il medico è tenuto a una adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle prevedibili reazioni individuali, nonchè delle caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici e deve adeguare, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate.
Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete
In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili."
Ma:
- se le prescrizioni ed i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornati a sperimentate acquisizioni scientifiche;
- se il medico deve adeguare, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate;
- se sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica;
- se in nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili;
allora
il medico non potrà mai avvalersi delle Medicine Alternative perchè la loro efficacia non è accertabile con i criteri adottati dalla Medicina Scientifica.
Anzi, proprio al medico è vietato adottare e diffondere terapie di Medicine Alternative in quanto non solo, nella logica del discorso de quo, non provate scientificamente ma anche e soprattutto perchè, qualora lo facesse, il medico sottrarrebbe il paziente alle “sperimentate ed efficaci cure disponibili” (della Medicina Scientifica).
Insomma, il medico che pratica l'omeopatia sta violando il Codice di Deontologia Medica.
Di fronte ad un simile scenario, come fa un cittadino a scegliere se confidare nel parere, peraltro vincolante, del Comitato Nazionale di Bioetica o piuttosto nelle prescrizioni di una sentenza, sia pure della Suprema Corte di Cassazione, in fatto di DIRITTO ALLA SALUTE?
Non è che forse vi è stata qualche ingerenza da parte di un certo gruppo pigliatutto di medici non ortodossi con l’appoggio magari di produttori di rimedi naturali desiderosi di accaparrarsi quanto ruota attorno non soltanto alle cure delle malattie ma anche alle arti dello star bene?
Possibile che la nostra Classe Giudiziaria ancora non sappia che in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea le Medicine Alternative sono praticate da non medici? Che i Naturopati non medici di questi Paesi potranno a breve lavorare sul nostro territorio nazionale? Che i terapeuti non medici degli altri Membri dell’Unione Europea stanno proponendo al Parlamento Comunitario il riconoscimento non della figura professionale, che in taluni Stati esiste da oltre sessant’anni, ma del loro percorso formativo?
E in Italia?
Per quanto ancora dovremo sopportare la prepotenza di classi protette e la loro ingerenza nelle più basilari norme di coesistenza e convivenza fra le persone?
Signori Giudici, così facendo ci costringerete a ricorrere ai Tribunali Internazionali per il ripristino della più elementare norma di libertà individuale: quella del DIRITTO AD UNA SALUTE NATURALE.
Pierluigi Ravelli